La Minetti sfila in occasione della Milano Fashion Week e Parah, il marchio che l’ha ingaggiata, diventa un caso mediatico. Un cattivo anzi cattivissimo utilizzo di immagine. Il perché non è difficile da capire. Una testimonial scomoda per un marchio la cui identità è sofisticata a tal punto che nessuno riuscirebbe ad accettare che un capo Parah finisca attaccato ad un palo da lap dance o peggio sotto un travestimento da suora.
Che cosa, più di tutto, ha danneggiato l’azienda? La risposta di Parah a tutte le proteste: aver giustificato la scivolata come una provocazione e un tentativo di attirare l’attenzione su un marchio che tanto bene non se la passa. Parah ha portato avanti l’idea di un gesto quasi estremo per contestare un sistema politico, economico e sociale che ha messo l’azienda in difficoltà, come tante purtroppo, utilizzando una persona che è parte integrante di quel sistema. Che dire, il gioco è fatto. Parah è in un bel guaio mediatico.
E allora cosa centra il megafono? Il megafono siamo noi, tutti quelli che forti di un account facebook e sicuri di poter dire tutto ciò che pensiamo liberamente e direttamente da casa abbiamo protestato, inondato la pagina ufficiale del marchio Parah e richiamato l’attenzione di tutti i media.
Ebbene si, citando Miriam Bertoli “le persone hanno un megafono e spesso esprimono opinioni che influenzano la reputazione delle aziende”.
Parah non ha sbagliato, ha solo dimenticato una cosa molto importante: noi. Noi donne, noi italiani, noi che siamo stanchi di scandali ma vogliamo, semplicemente, tornare ad acquistare anche un costume Parah senza pensare che possa essere una colpa desiderare qualcosa che non tutti oggi possono permettersi.